I controlli di legalità nel nuovo codice degli appalti

| Riccardo Canton (Ce.S.E.D.) | Area legale (LAW)
A seguito delle recenti modifiche in materia del codice dei contratti pubblici, la cui nuova disciplina è stato approvata il 31 marzo scorso, sono state ridisegnate le regole relative ai contratti. Vediamo di seguito all’interno del nuovo codice cosa è cambiato nel tema della legalità.

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 1 aprile 2023 il nuovo testo di legge in materia di contratti pubblici. La nuova disciplina viene recepita mediante d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36; essa ha completamente riscritto, in larga parte, quelle che erano le regole previste dal vecchio codice emanato con d.lgs. 50/2016. Questa modifica al codice dei contratti pubblici ha creato una nuova disciplina a quella che è la gestione di tutta la parte relativa agli appalti pubblici, tanto che si parla di nuovo codice degli appalti, in relazione e soprattutto alle misure in relazione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR.

Quello su cui è bene focalizzarci è soprattutto il tema della legalità. Com’è ormai assodato, nel nostro paese sono spesso stati individuati episodi di corruzione all’interno del settore pubblico e, qualora ci siano in gioco interessi economici, bisogna stare quindi attenti che non si verifichino episodi di corruzione o conflitto di interessi all’interno dell’amministrazione. Sul tema della legalità come sempre interviene, oltre che il diritto con la legge 190/2012 c.d. legge anticorruzione, l’Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC, che si occupa di monitorare e aiutare le amministrazioni a far si che non si verifichino tali fenomeni.

Il legislatore, già con il vecchio codice del 2016, si è impegnato a far si che questi episodi non si verifichino. In materia di conflitto di interessi il vecchio codice era intervenuto all’art. 42 definendo la situazione del conflitto di interessi quando “il personale di una  stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura  di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una  minaccia  alla  sua  imparzialità  e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione”. Tale art. 42 del d.lgs. 50/2016 diceva anche che è il soggetto che deve darne comunicazione alla stazione appaltante e su questo punto interviene anche l’ANAC, rendendo pubblica una linea guida contenente apposite indicazioni su come compilare l’autodichiarazione di assenza di conflitto di interessi che il soggetto avrebbe dovuto poi firmare. L’ANAC consiglia alle stazioni appaltanti di aggiornare periodicamente le autocertificazioni e di gestirne la raccolta, anche sollecitandola qualora non venisse consegnata entro i termini. Inoltre, è compito della stazione appaltante ai sensi dell’art. 42 comma 4 vigilare sulla veridicità delle autodichiarazioni. Ovviamente, il soggetto che si trova in una situazione di conflitto di interessi deve astenersi dalla procedura. Per quanto concerne gli appalti svolti con i fondi del PNRR è il RUP che deve farsi carico della gestione delle autodichiarazioni, aiutato dal RPCT.

Nel caso del nuovo codice dei contratti le cose un po’ cambiano, viene riscritta la disciplina, che ora troviamo all’art. 16 del d.lgs. 36/2023, e la definizione di conflitto di interessi resta pressoché invariata, come resta invariato l’obbligo di astensione in caso ci si trovi nella situazione di conflitto e l’obbligo per la stazione di appaltante di vigilare sulla veridicità e la coerenza delle autocertificazioni. Ma a cambiare in questi casi è l’onere della prova; infatti, si stabilisce al comma 2 che “in coerenza con il principio della fiducia […] la percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all'altro”. Sul punto sono intervenute già delle associazioni sindacali, reti, fondazioni e cooperative, tra le quali Libera, CGIL, Avviso Pubblico e Legambiente, che hanno criticato il punto dicendo che l’inversione dell’onore della prova rende più difficile provare l’esistenza di un conflitto d’interessi. Restano comunque fatte salve le regole in materia di whistleblowing di cui ex. art. 54-bis del d.lgs. 156/2001 (Testo Unico in materia di Pubblico Impiego – TUPI) nel caso in cui un dipendente faccia una segnalazione.

Dato che l’approvazione del codice è molto recente, non possiamo sapere se poi si possano verificare o meno queste problematiche non avendo nemmeno delle decisioni giurisprudenziali su cui basarci e l’ANAC non si è ancora espressa nel merito.

Un ulteriore punto che viene modificato nel nuovo codice degli appalti è quello sul Dibattito Pubblico, strumento già oggi molto frequente in ambito pubblicistico. L’istituto del dibattito pubblico era disciplinato dall’art. 22 del d.lgs. 50/2016 e dagli allegati del DPCM 76/2018, ora la nuova disciplina si trova all’art. 40 del d.lgs. 36/2023 dove si va ad abrogare l’allegato disposto con il vecchio DPCM in cui si indicano le situazioni in cui il dibattito è obbligatorio. Si rimanda ad un nuovo DPCM che dovrà essere adottato e che individua quali sono le opere attraverso le quali il dibattito pubblico viene reso obbligatorio. La disciplina resta però pressoché invariata se non per la abrogazione della Commissione nazionale, che aveva il compito di vigilare sullo svolgimento del dibattito pubblico in tutte le sue fasi al fine di garantire completezza e chiarezza nella informazione e il pieno diritto a una partecipazione inclusiva. Inoltre, vengono ridotti i termini di partecipazione. Non sappiamo però se questa situazione può portare problematiche in materia di legalità, il dibattito pubblico è uno strumento pressoché nuovo e già poco utilizzato, ma utile per avvicinare i cittadini all’amministrazione. Restano fatte salve e non hanno subito modifiche le regole in materia di legalità che già conosciamo recepite mediante il d.lgs. 190/2012 c.d. legge anticorruzione.



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