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DONNE E LAVORO DURANTE IL COVID-19, COME LA PANDEMIA HA MESSO IN RISALTO LE DICOTOMIE DI GENERE

| Valentina Vainolo, Ce.S.E.D. | Area lavoro (LABOUR)

Il Covid-19 ha portato senza dubbio grandi cambiamenti nella nostra quotidianità, stravolgendola con numerosi lockdown, mascherine, distanziamento sociale e smartworking. Quest’ultimo, tradotto in italiano come “lavoro agile”, è stato una grande novità che ha cambiato il modo di lavorare e l’organizzazione della vita privata e familiare; ma tali cambiamenti sono avvenuti in egual misura per entrambi i generi?

Se da un lato recenti analisi hanno mostrato che coloro ad essere maggiormente colpiti dal virus sono gli uomini, dall’altro lato è interessante vedere come, nonostante ciò, sembrino proprio le donne a pagare il costo più elevato a causa della pandemia. Si parla della cosiddetta “she-recession” per sottolineare l’impatto eterogeneo che ha avuto la pandemia, di cui è prova una distribuzione fortemente sbilanciata dei lavori di cura familiare e domestica.

Lo smartworking nasce come opportunità per permettere a chi lavora di conciliare vita produttiva e familiare, sfera lavorativa e sfera intima, in modo da concedere maggiore flessibilità e maggiore autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare. Questo nuovo modo di lavorare ha avuto enorme diffusione durante il periodo caratterizzato dal Covid-19 per ovvi motivi. Tuttavia, uno dei principali rischi dello smartworking è quello di non riuscire a dividere in modo netto vita lavorativa e vita privata, generando la mancanza di un confine ben definito tra lavoro e casa che spinge le persone all’iperproduttività, con conseguente diminuzione del tempo libero.

Il rischio ricade principalmente sulle donne, che si ritrovano a dover gestire un esagerato carico di responsabilità. Il lavoro produttivo, e quindi pagato, si aggiunge a quello domestico e alla cura dei figli, cosicché le giornate risultano essere costituite da: lavoro, preparazione dei pasti, meeting online, sostegno ai figli nei compiti e negli impegni scolastici, spesa, pulizie di casa e molto altro ancora.

Per far fronte ad una condizione così complicata, lo Stato italiano ha adottato due strumenti, contenuti nel decreto Cura Italia:

  • il “bonus baby-sitter", atto a supportare il lavoro femminile;
  • il "congedo parentale straordinario", che va ad aggiungersi ai già esistenti periodi di congedo di 15 giorni (congedo retribuito con stipendio al 50%, che può essere chiesto da entrambi i genitori ma non contemporaneamente).

Dunque, la pandemia, come molti altri momenti di crisi, non deve essere vista solamente in ottica negativa. Da ogni esperienza positiva o negativa che sia si può imparare qualcosa che può portare a cambiamenti positivi, anche in una prospettiva di genere. In molti casi, infatti, lo smartworking ha anche riguardato nella stessa misura lavoratori e lavoratrici, dimostrando come esso possa essere una risorsa per entrambi i generi e non debba essere necessariamente un mezzo per permettere di conciliare solo alle donne il lavoro retribuito e il lavoro domestico. Da questa esperienza potrebbe derivare una svolta importante nella nostra società e nella nostra cultura, dando il via ad un ripensamento dei modelli familiari e lavorativi in una prospettiva di parità di genere.

Si spera, quindi, che questi siano alcuni degli insegnamenti lasciati dal Covid-19 e che lo smartworking non rappresenti un rafforzamento degli stereotipi di genere e una maggiore discriminazione lavorativa e sociale delle donne.

Autore: Valentina Vainolo, Ce.S.E.D.

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