I limiti di assunzione presso le PA

| Fernanda De Simio | Area lavoro (LABOUR)

Le esigenze previdenziali ed assistenziali, in seguito agli effetti della pandemia da Covid-19, tessono un quadro sempre più complesso, come emerso dalla "Relazione annuale 2021" redatta dal Presidente dell’INPS Pasquale Tridico.

Negli ultimi anni le dinamiche del mercato del lavoro hanno innescato un incremento della spesa assistenziale a causa dell’aumento del lavoro atipico e del lavoro precario e sottopagato. È necessario prendere in considerazione anche l’altissima percentuale di inattivi e la persistenza del lavoro nero che oggi conta tre milioni di lavoratori destinati a lievitare, senza dimenticare che le loro retribuzioni vengono sottratte alla contribuzione previdenziale e fiscale.

Il suddetto documento segnala, infatti, l’espansione dei “poveri da lavoro”, ossia coloro che lavorando hanno guadagnato meno del 60% del reddito mediano nell’anno 2020. Si tratta di una condizione sempre più frequente specialmente nel Sud del Paese; una soluzione potrebbe essere quella di approvare nuovi investimenti e politiche pubbliche, come la ripresa delle assunzioni nel pubblico impiego. A partire dagli anni Novanta, effettivamente, il settore pubblico ha subito forti restrizioni per l’assunzione del personale dipendente, alimentando la stipula massiccia di contratti di lavoro a tempo determinato e di conseguenza il fenomeno del precariato. Ciò ha causato l’innalzamento dell’età media dei pubblici dipendenti e una parziale inadeguatezza di fronte all’innovazione tecnologica e alla globalizzazione, penalizzando, infine, il principio di economicità, di efficacia e di efficienza delle Pubbliche Amministrazioni.

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